Cassazione Penale: Risponde di Appropriazione indebita il coniuge che dopo la separazione impedisce all'altro il recupero dei propri beni personali.
Con la sentenza n. 37498 del 24 settembre 2009 la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da un sessantenne condannato in primo e in secondo grado per essersi rifiutato di permettere all’altro coniuge il recupero dei propri beni personali: un’automobile e altri oggetti rimasti nella casa del marito. I giudici della Suprema Corte, ritenuto sussistente il reato di appropriazione indebita, hanno inflitto al ricorrente la pena della reclusione fissata in giorni 15 e la multa di euro 100,00. L’art. 646 del codice penale prevede, infatti, che: Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito a querela della persona offesa con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032,00. La Corte ha precisato nella sentenza de qua che il delitto di appropriazione indebita si consuma “nel momento in cui l’agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricompresse nel titolo del suo possesso e incompatibile con il diritto del titolare, in quanto significativo nell’immutazione del mero possesso in dominio”. La Corte afferma inoltre che “non è necessario che la parte lesa debba formulare un’esplicita e formale richiesta di restituzione del bene oggetto della interversione del possesso”. La Suprema Corte ha ritenuto che il ricorrente non potesse non essere a conoscenza della volontà dell’altro coniuge di rientrare in possesso dei beni che aveva lasciato nella casa famigliare, a lui assegnata. Ciò alla luce della corrispondenza intercorsa fra l’avvocato della parte lesa e quello dell’imputato. Insomma: l’imputato era consapevole della volontà dell’altro coniuge, e si era opposto ad essa volontariamente.
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