Il datore di lavoro sostiene che il prolungamento della malattia sia stato causato da comportamenti extra-lavorativi nocivi
Con la pronuncia 7 ottobre 2021, n. 27322, la Corte di Cassazione ha statuito che il prolungamento della malattia, nella fattispecie, non era dipeso dai comportamenti extra-lavorativi del lavoratore. Il datore sosteneva che il lavoratore, durante il periodo di malattia, avesse condotto la sua automobile e il suo ciclomotore, nonostante la denunciata lombosciatalgia. Aggiunge il datore, che il lavoratore avrebbe anche sollevato alcuni pannelli solari.
Occorre precisare che il datore, alla luce di quanto precede, aveva intimato al lavoratore il licenziamento che era tempestivamente impugnato senza successo. La Corte d'Appello, peraltro, ribaltava la sentenza del Tribunale, annullando il licenziamento e disponendo la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro con condanna al risarcimento dei danni.
Il datore ricorreva per Cassazione.
La Suprema Corte, dal canto suo, come sopra riassunto, rigettava il ricorso del datore di lavoro in quanto, a parere della Corte, il Giudice d'Appello aveva correttamente ritenuto provata, sotto il profilo medico legale, la necessità del prolungamento della malattia e l'ininfluenza delle condotte del lavoratore di cui si doleva il datore (guidare auto, ciclomotore, ecc.) rispetto alla lombosciatalgia.
La consulenza medico legale aveva, più in dettaglio, accertato che «la modesta attività fisica compiuta dal lavoratore [durante il periodo di malattia, N.d.r.] non aveva aggravato la patologia da cui egli era affetto, patologia per la cui remissione era ammissibile un arco temporale di trenta giorni dall'inizio della manifestazione dei sintomi».
Infatti, giova precisare che il prolungamento della malattia, nella fattispecie, non aveva comportato il superamento dell'arco temporale di trenta giorni dall'inizio della malattia medesima.
2021 Studio Legale Casa Carattini. Avvocati in Parma dal 1955.