Ingiuria

Cassazione Penale: Può essere condannato per ingiuria il coniuge che offende la suocera

Con la sentenza n. 35874, depositata in cancelleria il 16 settembre 2009, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un uomo che era stato condannato in primo e in secondo grado per i delitti di ingiuria e lesioni personali volontarie in danno della moglie. Il ricorrente, oltre ad essere stato assoggettato all’applicazione delle sanzioni penali previste dalla legge per la consumazione dei suindicati reati, era anche condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, la moglie. (Obbligazione civile discendente da reato) Il reo, secondo l’ipotesi accusatoria accolta dal giudice di merito, durante una discussione con la moglie, aveva pesantemente offeso la suocera – non presente al tempo del commesso reato – e, infine, colpito il coniuge con una testata diretta al di lei volto. Il ricorso presentato dal difensore del marito era affidato a tre motivi: 1) Errata applicazione dell’art. 120 c.p.: le offese erano dirette alla suocera, peraltro assente al tempo del commesso reato, e la querela è stata sporta dalla moglie. 2) Mancata applicazione della scusante della provocazione 3) Errata valutazione della deposizione del teste (figlio dei coniugi) La Suprema Corte ha giudicato, come testé riferito, inammissibile il ricorso. Riportiamo di seguito la motivazione che, in ordine al primo motivo, evidenzia – secondo la Corte di Cassazione – la manifesta infondatezza del ricorso: La moglie era legittimata a presentare querela in quanto ella aveva qualità di persona offesa dal reato; “ed invero, per quanto gli epiteti e le volgari espressioni di disprezzo pronunciate dall’imputato nel rivolgersi alla moglie si riferissero ad altro soggetto, e cioè alla madre di costei, non vi è dubbio che ne sia derivata una lesione del decoro della stessa interlocutrice: il che inevitabilmente accade quando sussiste uno stretto legale parentale fra la persona alla quale le espressioni sono state comunicate e quella destinataria delle offese, traducendosi tale condotta in una mancanza, nei confronti del percettore di tali espressioni, del rispetto che, quale componente della dignità umana, è dovuto a ciascuno dei consociati”. Il marito era infine condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché delle spese sostenute dalla parte civile nel terzo grado di giudizio (€ 2.200,00).

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