Facebook: in aumento le cause per diffamazione
In Italia Facebook ha fatto il boom nei primi mesi del 2009, da quando cioè la sua esistenza è stata resa nota agli italiani che ancora non lo conoscevano attraverso i potenti mezzi di comunicazione di massa. Giornali, televisione, periodici, ovunque, su carta o video, si parlava di questo ormai celeberrimo social network. Fino al 2008, dicevamo, Facebook era pressoché sconosciuto. Poi una grande epopea di iscrizioni. Risultato? Si sono verificati in questi mesi sempre più episodi riconducibili al reato di diffamazione. Questo perché nel mondo di internet in generale, e di un social network in particolare, ciò che viene “detto” da qualcuno rischia di ledere i diritti della personalità di qualcun altro, è il caso del reato di diffamazione. Gli utenti dei social network non possono invocare come causa esimente la ‘virtualità’ di quanto da loro scritto o comunque pubblicato sul web. Varie cause aventi ad oggetto il reato di diffamazione hanno iniziato a fare il loro ingresso nelle aule dei tribunali italiani, da nord a sud. Alcuni esempi: il datore di lavoro che querela per diffamazione il dipendente il quale, su Facebook, lo abbia definito con un epiteto offensivo, lesivo dei diritti di dignità, onore, integrità della persona; persone che creano su Facebook (ma, si badi, questo vale per ogni altro social network, forum, focus o group) pagine dedicate ad altra/e persona/e rendendo noti fatti o notizie senza la preventiva autorizzazione degli interessati, etc. Naturalmente, trattandosi di World Wide Web, cioè di internet, strumento planetario di comunicazione, la diffamazione è aggravata nel caso in parola dal mezzo di pubblicità. Il risarcimento conseguibile dalla parte lesa può ammontare a diverse migliaia di euro, l’entità del risarcimento dovendo logicamente dipendere dalla gravità più o meno intensa di ogni singolo caso. Lesione dell’altrui reputazione, onore, dignità, integrità: sono solo alcune delle conseguenze cui potrebbero portare commenti, fotografie, video, o altro pubblicati sul web. L’utilizzo dei social network come Facebook concerne naturalmente anche il mondo del lavoro: lo si è visto di recente in Gran Bretagna dove una dipendente, la quale aveva definito il proprio lavoro ‘noioso’, è stata licenziata. In Italia sarebbe difficile configurare tale fattispecie come causa legittima di licenziamento. Tuttavia, il datore di lavoro italiano può tutelarsi dall’uso che il dipendente faccia di Facebook o altri social network durante l’orario di lavoro ben potendo essere comminate sanzioni disciplinari nei confronti di chi durante l’orario di lavoro svolga attività extralavorative. Utile per il datore di lavoro è predisporre regolamenti che vietino l’uso di tali social network ai dipendenti, o, ancora più efficace, bloccare a monte la possibilità per i dipendenti di accedere a tali siti. In sintesi: con l’avvento dei social network, Facebook in testa, aumentano i rischi di lesione di diritti della personalità. L’ordinamento consente alla parte lesa l’utilizzo dei consueti strumenti tutela.
© 2009 Studio Legale Carattini, Avvocati in Parma dal 1955