Crisi aziendale e Licenziamento

Cassazione Civile: Il licenziamento per crisi aziendale è legittimo allorché risulti provata l'impossibilità di diverso impiego del lavoratore in azienda

Con la sentenza n. 7512 del 15 maggio 2012 la IV Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che il licenziamento per il caso di crisi aziendale è legittimo qualora emerga la prova, anche solo tramite elementi presuntivi e indiziari, che il lavoratore non avrebbe potuto essere impiegato nella stessa azienda per lo svolgimento di altre e diverse mansioni rispetto a quelle svolte in precedenza. Più nel dettaglio la Suprema Corte ha precisato che in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, “compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte”. La Corte prosegue affermando che tale prova, tuttavia, “non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile “repêchage”, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti”. Nel caso de qua la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da un lavoratore subordinato contro la sentenza con cui il Giudice di secondo grado aveva riconosciuto la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (crisi aziendale). La Corte d’Appello aveva infatti individuato la sussistenza della prova dell’impossibilità del “repêchage” nel fatto che dal libro matricola si evinceva che l’azienda, dopo il licenziamento del ricorrente, non si era limitata a non incrementare il capitale umano (tramite nuove assunzioni) ma lo aveva addirittura diminuito (tramite successivi licenziamenti); oltre a ciò il lavoratore ricorrente non aveva fornito alcuna indicazione in ordine a un suo possibile diverso impiego in azienda. Da ultimo si evidenzia l’opinione della Suprema Corte secondo cui è irrilevante che l’azienda, nel caso in parola, avesse acquistato un costoso macchinario in leasing.

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