Fatture e contabilità sono sufficienti per provare l'entità del compenso dell'appaltatore?
Con la sentenza 23 maggio 2024, n. 14399, la Corte di Cassazione ha statuito in punto di compenso dell'appaltatore nell'ambito di un contratto d'appalto tra privati.
La fattispecie concerneva il presunto inadempimento contrattuale dell'appaltatore, del progettista e del Direttore dei Lavori.
Il committente ha pertanto agito giudizialmente per la tutela dei propri diritti.
La lite, dopo il primo ed il secondo grado, è approdata presso i Giudici di legittimità i quali hanno sancito il seguente principio di diritto: "In tema di contratto di appalto, l'appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha l'onere di dimostrare la congruità della somma pretesa, con riferimento alla natura, all'entità e alla consistenza delle opere realizzate, non costituendo idonee prove dell'ammontare del credito le fatture emesse dal medesimo appaltatore, poiché si tratta di documenti fiscali provenienti dalla parte stessa, né la contabilità redatta dal direttore dei lavori o dallo stesso appaltatore, a meno che non risulti che essa sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l'abbia accettata senza riserve".
In estrema sintesi, la Corte sostiene che fatture e contabilità (ove predisposta dall'appaltatore) siano documenti unilateralmente predisposti dall'appaltatore e pertanto inidonei a provare l'entità del quantum debeatur.
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